Santi del 22 Ottobre
*Abercio di Geropoli *Apollo di Bawit *Benedetto - Eremita a Mezieres *Bertario di Montecassino *Donato di Fiesole *Esclaramunda *Filippo ed Ermete *Giovanni Paolo II *Leotaldo di Auch *Lucia Bartolini Rucellai *Lupenzio *Mallone di Rouen *Marco di Gerusalemme *Moderano di Berceto *Nancto *Nunilone e Alodia *Simmaco di Capua *Valerio di Langres *Altri Santi del giorno *
*Sant'Abercio di Geropoli - Vescovo (22 Ottobre)
sec. II
Fu vescovo di Gerapio, in Frigia. La tradizione su di lui è talmente leggendaria che a lungo si dubitò della sua esistenza. Nel 1882 presso l'antica Hieropolis, capitale della Frigia Salutare, un archeologo William Ramsay, scoprì i frammenti di un epitaffio che venne interamente ricostruito. Donato al Papa Leone XIII, si trova oggi nella Galleria Lapidaria del Museo Lateranense a Roma.
Il suo testo, definito " la regina delle iscrizioni cristiane ", è uno dei documenti più preziosi per la storia del Cristianesimo, in quanto ne attesta alcune caratteristiche dogmatiche e liturgiche in un'epoca precedente al III secolo.
L'epitaffio attesta come il vescovo Abercio sia andato a Roma per ragioni di fede e si sia, in seguito, recato in Siria e in Mesopotamia portando con sé la dottrina di San Paolo.
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Gerapoli in Frigia, nell’odierna Turchia, Sant’Abercio, vescovo, che, discepolo di Cristo buon pastore, a quanto si narra, fu condotto dalla fede pellegrino per molte regioni, nutrendosi di mistico cibo.
La vita di Sant'Abercio venne scritta soltanto nel secolo IV, due secoli dopo la sua morte, e naturalmente ai fatti realmente accaduti e sui quali non si era forse più molto informati vennero aggiunti degli elementi leggendari, che resero veramente severi gli storici, che considerarono Abercio una figura poco più che inventata.
Ma Abercio si prese una bella rivincita. Nel 1882 infatti a Kelendre nelle vicinanze dell'antica Gerapoli (o Hieropolis), capitale della Frigia Salutare, l'archeologo William Ramsay scoprì un'iscrizione greca, inserita in un pilastro posto dinanzi alla grande moschea. Erano esattamente l'inizio e la fine dell'"epitaffio" del vescovo Abercio che era stato conservato dalla vita, troppo precipitosamente scartata dal novero delle opere storicamente utilizzabili.
L'anno successivo, 1883, lo stesso Ramsay rinvenne altri due frammenti della parte centrale dell'epitaffio, che venne così interamente confermato.
Il prestigioso reperto venne donato al papa Leone XIII nel 1892, in occasione del suo giubileo, e perciò viene ora conservato nella Galleria lapidaria del Museo Lateranense di Roma. Il testo di questo epitaffio è uno dei documenti più preziosi per la storia del cristianesimo, poichè ne attesta la diffusione e talune caratteristiche dogmatiche e liturgiche ad un'epoca che non è certamente posteriore al 216.
Ecco l'importante documento: "Cittadino di una eletta città, mi sono fatto questo monumento da vivo per avere qui una degna sepoltura per il mio corpo, io di nome Abercio, discepolo del casto pastore che pasce greggi di pecore per monti e per piani; egli ha grandi occhi che guardano dall'alto dovunque. Egli mi insegnò le scritture degne di fede; egli mi mandò a Roma a contemplare la reggia e vedere una regina dalle vesti e dalle calzature d'oro; io vidi colà un popolo che porta un fulgido sigillo.
Visitai anche la pianura della Siria e tutte le sue città e, oltre l'Eufrate, Nisibi e dovunque trovai confratelli..., avendo Paolo con me, e la fede mi guidò dovunque e mi dette per cibo il pesce di fonte grandissimo, puro, che la casta vergine suole prendere e porgere a mangiare ogni giorno ai suoi fedeli amici, avendo un eccellente vino che suole donare col pane.
Io Abercio ho fatto scrivere queste cose qui, in mia presenza, avendo settantadue anni. Chiunque comprende quel che dico e pensa come me, preghi per Abercio.
Che nessuno ponga un altro nel mio sepolcro, altrimenti pagherà 2000 monete d'oro all'erario dei Romani e 1000 alla mia diletta patria".
(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Abercio di Geropoli, pregate per noi.
*Sant'Apollo di Bawit - Abate (22 Ottobre)
IV sec.
Vissuto tra il 316 e il 395.
Eremita egiziano che, dopo quarant'anni di solitudine nella Tebaide, divenne abate di più di cinquecento monaci presso Hermopilis. Aveva lasciato il deserto per combattere Giuliano l'Apostata. Basandosi su alcuni menei bizantini e sull'autorità di Massimo Margounios, vescovo di Citera (sec. XVI), i Bollandisti hanno inserito, alla data del 25 gennaio, la vita di Apollo, abate nella Tebaide: questa non è d'altronde che la riproduzione del capitolo LII della Historia Lausiaca come l'aveva pubblicata Rosweyde nel libro VIII delle Vitae Patrum.
La si cercherebbe invano nell'edizione di C. Butler; costui in realtà ha visto che questa vita di Apollo era, in una recensione appena differente, un'interpolazione del capitolo VII della Historia Monachorum dell'arcidiacono Timoteo di Alessandria (verso il 400), la cui traduzione latina di Rufino è stata ugualmente pubblicata da Rosweyde come libro II delle Vitae Patrum.
Nuovamente al 22 ottobre i Bollandisti hanno introdotto la vita dei santi Abib e Apollo, monaci in Egitto, senza neanche sollevare il minimo dubbio sulla possibile identità con l'omonimo del 25 gennaio. L'Encomium pubblicato non è altro che la notizia relativa al 25 bãbah (22 ottobre) del sinassario alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malig. La traduzione latina è stata fatta sul ms. Vaticano Arabo 62, di cui il cardinal Angelo Mai aveva già riprodotto un'analisi assai dettagliata, e questo stesso manoscritto è uno dei testi di cui si è servito R. Basset per stabilire l'edizione critica del Sinassario Alessandrino.
La notizia del Sinassario Alessandrino riporta, luogo comune agiografico, la nascita quasi miracolosa di Apollo, i cui genitori Amãni di Ahmim e Aysi erano vissuti in una grande santità senza avere avuto, fino alla vecchiaia, la gioia di vedere un figlio venire ad assicurare la loro posterità. Dopo essersi dedicato allo studio delle scienze ecclesiastiche, Apollo, preso dal desiderio della vita monastica, andò, accompagnato dal suo amico Abib in un monastero (il cui nome non ci è rivelato). L'uno e l'altro praticarono la loro nuova vita rivaleggiando in austerità. Abib morì assai presto, e Apollo lasciò il monastero per ritirarsi sulla montagna di Ablug (la cui localizzazione non è identificata) e menarvi vita eremitica.
Ma la rinomanza della sua santità si sparse rapidamente, e numerosi furono i discepoli che si raccolsero intorno a lui, docili ai suoi insegnamenti nella pratica delle virtù e meravigliati dai miracoli che Apollo non cessava di operare. Apollo morì molto vecchio.
Il Sinassario fa allusione a una lettera scritta ad Apollo da Macario; questa sarebbe l'unica indicazione che permetta di stabilire, molto vagamente del resto, l'epoca della vita di Apollo
L'autore della Historia Monachorum racconta la visita che egli fece con i suoi compagni ad Apollo: questa volta ci è data una preziosa indicazione topografica: il santo viveva nella Tebaide, nella regione di Hermopolis (oggi Asmunayn), non lontano dal santuario di Dayr Al-Muharrag ove si perpetua il ricordo del passaggio della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto.
Se Timoteo si attarda soprattutto a descrivere ciò che vede, introduce nondimeno nella sua narrazione qualche particolare relativo alla vita passata di Apollo. Secondo questo autore, Apollo all'età di 15 anni, si sarebbe ritirato dalla vita del mondo.
Egli fa altresì allusione a un fratello molto amato da Apollo, morto prima di questo, ma che era stato solitario come lui. Dobbiamo vedere in questo personaggio l'Abib del Sinassario? In ogni caso non si fa questione qui del doppio stadio: vita monastica e vita eremitica. Dopo quaranta anni, alla chiamata di un angelo, ci riferisce ancora Timoteo, Apollo si sarebbe avvicinato ai luoghi abitati pur continuando la sua vita in una caverna isolata. Ciò accadeva sotto il regno di Giuliano l'Apostata (361-63). La sua riputazione di santità attrasse rapidamente numerosi discepoli intorno a lui, i quali costruirono un immenso monastero: 500 monaci vi stavano al momento della visita di Timoteo.
Il racconto di Timoteo è pieno di informazioni sulla vita dei monaci di questo monastero. Essi dividevano il loro tempo fra la meditazione solitaria e la preghiera in comune, senza disdegnare tuttavia la pratica dei differenti mestieri necessari alla vita di una così grande comunità.
Il digiuno del mercoledì e del venerdì, la presenza quotidiana alle funzioni liturgiche durante le quali ci si comunicava, le penitenze esteriori, tutto è orientato verso la vita di unione con Dio, presentata con insistenza da Apollo come il vero fine ricercato.
La figura di Apollo è molto attraente: è lui che veglia per far praticare dai suoi monaci questa vita ascetica armoniosamente equilibrata. Animato di un ardente spirito missionario, è anche preoccupato della conversione del popolo ancora pagano che abita i villaggi vicini al monastero. Egli tiene altresì ad essere il pacificatore degli animi dei suoi figli spirituali del pari che il conciliatore dei contadini dei dintorni allorché le querele o le gelosie li opponevano gli uni agli altri.
Il Monastero di Bawit
Due campagne di scavi organizzate dall'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo, la prima nel 1901-1902 diretta da J. Clédat, la seconda nel 1913 sotto la guida di J. Maspéro, dovevano condurre a conclusioni del più alto interesse per la storia dei monachesimo in Egitto fino sotto l'occupazione araba. Con questi scavi è stata scoperta una serie di tells emergenti sulla riva occidentale dei Nilo, tra le antiche città di Aphroditopolis e di Hermopolis Magna, ad ovest di Dayrut al-Sirif, in prossimità del villaggio moderno di Bãwit.
Vennero alla luce le rovine imponenti di un immenso monastero fortificato, forse di un doppio monastero, la cui pianta ha potuto essere ricostituita con precisione.
Il materiale epigrafico e iconografico raccolto ha permesso di identificare con certezza questo monastero come quello di Apollo, localizzato già dall'autore dell'Historia Monachorum nella regione di Hermopolis.
(Autore: Joseph Marie Sauget - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Apollo di Bawit, pregate per noi.
*San Benedetto - Eremita a Mezieres (22 Ottobre)
Martirologio Romano: Nel territorio di Nantes nella Bretagna in Francia, San Benedetto, che condusse a Mézières vita eremitica.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Benedetto, pregate per noi.
*San Bertario di Montecassino - Abate e Martire (22 Ottobre)
Nobile di stirpe longobarda, Bertario visitò Montecassino e ne fu tanto impressionato che rimase come monaco. Divenne abate nell'856, succedendo al suo maestro Bassacio.
Era tempo di incursioni saracene e allora fece fortificare l'abbazia, che ebbe anche, tra molte difficoltà e per un certo tempo, la protezione dell'imperatore Ludovico II. Con Bertario, uomo di lettere (promosse studi non solo sacri, ma anche di grammatica e medicina) il monastero si consolidò.
Bonificò la vallata e fondò Eulogimenopoli (città di san Benedetto) poi divenuta San Germano e oggi Cassino.
Fu ucciso dai saraceni con alcuni monaci nell'883. Riposa nell'abbazia. (Avvenire)
Emblema: Palma
Di nobile origine e probabilmente di stirpe longobarda, ancora giovane si recò in pellegrinaggio a Montecassino al tempo dell’abate Bassacio e qui, colpito dalla vita austera e orante dei monaci, volle rimanere come monaco.
La scelta fece di lui un ‘uomo completo’ dedito alla preghiera e al lavoro, nel suo caso intellettuale, vissuti in gioia e serenità secondo la Regola di s. Benedetto. Nell’856 successe a Bassacio di cui era stato discepolo ed imitatore fedele, specie nel coltivare gli studi, divenendo così il 19° successore del santo fondatore, patriarca del monachesimo occidentale.
Il suo governo abbaziale avvenne in un periodo oltremodo critico a causa delle incursioni dei saraceni, che già da una decina d’anni, imperversavano sulle coste e all’interno dell’Italia Meridionale; nell’846 avevano già distrutto il monastero di Santa Maria in Cingla, nei pressi di Alife, dipendente da Montecassino, provenienti da Benevento.
Ma essi avevano raggiunto nelle vicinanze anche l’abbazia, provenienti dall’altro lato cioè dalle vicinanze di Roma, dopo essere giunti via mare da Palermo e dopo che per la via Appia si erano spinti nella valle del Liri, mettendo a sacco Fondi e Gaeta, da lì si spinsero a saccheggiare i monasteri di S. Andrea e S. Apollinare, tutto ciò avveniva con Bassacio abate; poi con l’aiuto divino e con l’apparire nelle acque di Gaeta della flotta napoletana, essi furono costretti per quella volta a ritornare in Africa.
Bassacio e l’abate di San Vincenzo al Volturno, Giacomo chiesero a più riprese l’intervento dell’imperatore Lotario, ma solo nell’852 arrivò nell’Italia Meridionale Ludovico II, figlio di Lotario, ma questi quasi subito se ne ripartì per l’ostilità trovata dai longobardi di Capua e dai principi feudatari.
Allora Bertario fece per prima cosa fortificare l’abbazia munendola di muraglioni e torri e quando poi fra l’856 e l’873, Ludovico II condusse varie spedizioni contro i saraceni, egli l’accolse più volte, insieme all’imperatrice Engelberga, favorendo in ogni modo la sua impresa e adoperandosi affinché i principi del meridione si alleassero in una Lega; nel portare avanti quest’opera di mediazione, venne a trovarsi in contrasto politico con il papa Giovanni VIII, il quale però poco prima della sua morte, gli rilasciò un ampio diploma di esenzione e privilegi che costituirono l’organizzazione del patrimonio del monastero a cui Bertario si era anche dedicato.
Bonificò la vallata sottostante, fondando la città che chiamò Eulogimenopoli (cioè città di s. Benedetto) poi chiamata S. Germano, l’odierna Cassino. Promosse gli studi sacri e profani scrivendo egli stesso testi di grammatica, di medicina, di prosa e versi, in parte giunti fino a noi.
Abbellì la chiesa abbaziale con preziosi arredi sacri e fondò a Teano un monastero femminile; ebbe autonomia decisionale non dipendente dalla giurisdizione del vescovo locale; ma tanto fervore di opere e di intenti non ebbero fortuna, perché ripartito Ludovico II nell’873, i saraceni ripresero a fare scorrerie nelle campagne e cittadine sia della Campania che del Lazio, nell’882 una di queste bande annidata nell’Appennino sannitico, distrusse l’abbazia di San Vincenzo al Volturno, facendo strage di monaci e il 4 settembre 883 presero di sorpresa anche l’abbazia di Montecassino devastandola.
Bertario ed i monaci scampati al massacro, si rifugiarono nella città ai piedi del monte, nel monastero di S. Salvatore; alcune settimane dopo i saraceni ritornarono e mentre la maggioranza dei monaci sotto la guida di Angelario priore del monastero, si rifugiavano a Teano, Bertario e un gruppo di religiosi furono ammazzati davanti all’altare, era il 22 ottobre dell’883.
Il corpo dell’abate martire fu in seguito trasportato a Montecassino e nel 1486 trasferito nella chiesa abbaziale, davanti alle tombe di San Benedetto e santa Scolastica; nel 1514 gli venne dedicata una cappella in suo onore con il corpo sotto l’altare.
Svariati artisti l’hanno raffigurato durante i secoli, su tele che poi sfortunatamente sono andate perse nell’ultima distruzione dell’abbazia avvenuta nella II Guerra Mondiale. Culto confermato da Papa Benedetto XIII il 26 agosto 1727, festa il 22 ottobre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bertario di Montecassino, pregate per noi.
*San Donato di Fiesole - Vescovo (22 Ottobre)
Nacque in Irlanda negli ultimi anni del secolo VIII da nobili genitori cristiani. Spinto da un desiderio di perfezione cristiana nell'816 abbandonò la famiglia e la patria e si mise a peregrinare per varie regioni giungendo fino a Roma.
Sulla strada del ritorno verso casa arrivò a Fiesole proprio mentre il clero ed il popolo trattavano dell'elezione del nuovo vescovo.
Fu così che i fiesolani scelsero proprio lo sconosciuto pellegrino.
Era l'anno 829. Il suo governo pastorale a Fiesole durò oltre 40 anni. Fu uomo di lettere e, se non vi insegnò, certo esercitò molta influenza sulla scuola eretta a Firenze da Lotario in seguito ai deliberati della assemblea di Olona dell'825.
Scrisse diverse opere delle quali rimangono soltanto un epitaffio dettato per la sua tomba, prezioso per le notizie autobiografiche; un Credo, poetico, recitato fra gli amici e discepoli prima di morire, e le Lodi di santa Brigida, patrona dell'Irlanda. Morì a Fiesole tra l'874 e l'877. (Avvenire)
Etimologia: Donato = dato in dono, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Fiesole in Toscana, San Donato Scoto, vescovo, che, celebre per cultura e pietà, giunse pellegrino a Roma dall’Irlanda e fu dato al popolo di questa città come illustre pastore mandato da Dio.
Nacque in Irlanda negli ultimi anni del sec. VIII da nobili genitori cristiani. Fin da fanciullo fu educato nella fede cattolica e avviato agli studi nei quali fece tali progressi da superare tutti i suoi coetanei. Desideroso di maggiore perfezione, nell'816 abbandonò la famiglia e la patria e si mise a peregrinare per varie regioni giungendo fino a Roma.
Nel ritornare in patria arrivò a Fiesole proprio mentre il clero ed il popolo trattavano dell'elezione del nuovo vescovo; mossi da divina ispirazione i fiesolani scelsero proprio lo sconosciuto pellegrino, che dapprima riluttante dovette poi piegarsi ai oro desideri.
Era l'anno 829. Ben poco sappiamo del suo governo pastorale a Fiesole durato oltre quarant'anni. Combatté con successo contro gli usurpatori dei beni della sua Chiesa. Nell'866 si portò a Capua dove ebbe da Lotario II la conferma dei beni già concessi al suo predecessore Alessandro con esenzioni e diritti vari. A Piacenza, nel1'876, ricevette conferma da Carlo il Calvo delle immunità e dei privilegi precedentemente ricevuti.
Fu in buona relazione con i sovrani del tempo e, come feudatario, li seguì nelle loro imprese e nei loro viaggi. Nell'844, insieme con altri vescovi, prese parte ad una spedizione che Lotario fece guidare dal figlio Ludovico. Nell'866, alla testa dei suoi vassalli, accompagnò Ludovico nella campagna contro i Saraceni nell'Italia meridionale.
Nell'850 fu presente a Roma alla incoronazione di Ludovico fatta da Leone IV. In quella occasione sedette col papa e con l'imperatore in giudizio per risolvere una vecchia questione pendente fra i vescovi di Arezzo e di Siena, risolta a favore di quest'ultimo.
Fu uomo di lettere e come tale si preoccupò dell'istruzione del clero e della gioventù. Se non vi insegnò, certo esercitò molta influenza sulla scuola eretta a Firenze da Lotario in seguito ai deliberati della assemblea di Olona dell'825.
Scrisse diverse opere delle quali rimangono soltanto un epitaffio dettato per la sua tomba, prezioso per le notizie autobiografiche; un Credo, poetico, recitato fra gli amici e discepoli prima di morire, e le Lodi di Santa Brigida, patrona dell'Irlanda (in MGH, Poetue lat. aevi karol., III, pp. 691-92). Per i suoi connazionali irlandesi pellegrini in Italia fondò a Piacenza con mezzi propri, fra 1'826 e l'850, la chiesa di Santa Brigida, con annesso ospedale ed ospizio, che, dotati di numerosi e ricchi beni, donò il 20 agosto dell'850 al monastero di San Colombano di Bobbio.
Morì a Fiesole tra l'874 e 1'877 e le sue spoglie furono sepolte nella primitiva cattedrale, ai piedi della collina, nella cappella dedicata a San Romolo, dove rimase fino al 1817.
In quell'anno il vescovo mons. R. Mancini trasportò i suoi sacri resti nella nuova cattedrale, eretta sul colle nel 1028 dal vescovo - Jacopo il Bavaro, in una cappella a lui dedicata a sinistra dell'altare maggiore accanto a quella monumentale fatta costruire dal vescovo Leonardo Salutati. La Chiesa fiesolana, che lo onora come Santo, ne celebra la festa il 22 ottobre.
(Autore: Giuseppe Raspini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Donato di Fiesole, pregate per noi.
*Sant'Esclaramunda - Regina di Maiorca, Mercedaria (22 Ottobre)
XIII secolo
Emblema: Corona, Scettro
Sposa di Giacomo II, Re di Maiorca (Spagna), la Beata Esclaramunda, fu ricevuta fra le sorelle dell’Ordine Mercedario da San Pietro de Amer nell’anno 1291.
Fu di grande aiuto all’Ordine e lo onorò con le virtù finché ornata di moltissimi doni e favori celesti, da Dio, meritò di ricevere il premio eterno.
L’Ordine la festeggia il 22 ottobre.
(Autore: Alberto Boccali – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Esclaramunda, pregate per noi.
*Santi Filippo ed Ermete - Martiri (22 Ottobre)
Martirologio Romano: A Edirne in Tracia, sempre in Turchia, Santi martiri Filippo, vescovo di Marmara Ereğlisi, ed Ermete, diacono: il primo, agli inizi della persecuzione dell’imperatore Diocleziano, aveva ricevuto l’ordine di chiudere la chiesa e mostrare tutti i vasi sacri e i libri in essa contenuti; e avendo egli risposto al governatore Giustino che non era lecito né da parte sua consegnare quanto gli si chiedeva né a lui appropriarsene, dopo aver subito il carcere e la flagellazione, fu bruciato insieme al diacono sul rogo.
Santi Filippo, vescovo di Eraclea, Ermete, diacono, Severo, prete, e Eusebio, martiri ad Adrianopoli
Esiste di questi santi una passio latina, derivata probabilmente da un originale greco, oggi perduto, e del quale è rimaneggiamento e forse compendio, ma che, secondo P. Franche de' Cavalieri, può considerarsi sostanzialmente degna di fede. La narrazione riferisce esclusivamente gli interrogatori a cui Filippo e i compagni furono sottoposti.
Nato nella città di Eraclea, Filippo ne fu per lungo tempo diacono ed in età avanzata, vescovo.
Scoppiata la persecuzione di Diocleziano, non volle abbandonare la sede nonostante alcune pressioni. Man mano che gli editti imperiali uscivano, i magistrati si preoccupavano di eseguirli; infatti il preside Basso fece prima chiudere la chiesa, poi ordinò l'inventario dei libri e vasi sacri ed infine deferì al tribunale il vescovo con il diacono Ermete e probabilmente il prete Severo.
Filippo, sottoposto ad atti di violenza, acconsentì a consegnare i vasi sacri e le Scritture (nessuno in Asia lo accusò di essere «traditore» come invece avveniva nell’Africa proconsolare per simili consegne). Il diacono Ermete, assistendo alla confisca dei beni, notò e denunciò il funzionario Publio che si appropriava di alcuni vasi; ricevette per questo dallo stesso Publio un violentissimo schiaffo, ma il preside Basso, conosciuto il fatto, rimproverò aspramente il funzionario disonesto (evidentemente i magistrati romani cercavano di agire secondo giustizia).
Nel frattempo la chiesa di Eraclea ed i libri santi furono distrutti per ordine del prefetto. Questi, in successivi separati interrogatori, cercò di convincere il vescovo ed Ermete ad abiurare, ma entrambi rifiutarono di bruciare incenso davanti agli idoli. Specialmente la condotta del diacono sembrava al magistrato ed al popolo non cristiano inspiegabile, perché questi era uomo molto stimato ad Eraclea e faceva parte, come decurione, del senato della città. Cristiano fin dalla nascita aveva potuto partecipare alle cariche civili durante il pacifico periodo antecedente la persecuzione dio-dedalica. Al prefetto Basso successe Giustino; questi si recò ad Eraclea per interrogare i due ecclesiastici ancora in custodia vigilata e li invitò ad obbedire agli ordini imperiali, ma la risposta fu negativa. Rimandati in prigione o in custodia vigilata, dopo sette mesi il prefetto li convocò ad Adrianopoli per sottoporli a giudizio. Le minacce e le violenze non piegarono né il vescovo né il diacono, per cui Giustino ordinò la loro decapitazione che fu dai due martiri affrontata serenamente. Prima di morire Ermete inviò un messaggio al proprio figlio perché pagasse tutti i debiti. I corpi, gettati nel fiume Ebro, ma ripescati dai cristiani, ricevettero sepoltura a dodici miglia dalla città di Eraclea in una località denominata Ogetistiron. Con ogni probabilità l'anno del martirio fu il 303, ma alcuni critici spostano la data al 304-305.
Nella passio si parla anche del prete Severo di Eraclea, ma il suo martirio non fu contemporaneo a quello del vescovo e del diacono. Nel Martirologio Siriaco e nel Geronimiano infatti, Filippo ed Ermete sono ricordati al 22, mentre Severo è festeggiato al 23 ottobre. Nel Martirologio Romano inoltre figura anche un Eusebio presente già nel Martirologio Geronimiano di cui si ignora tutto e che però non ha niente a che fare con i tre martiri sopra citati.
Nei martirologi orientali, che lo commemorano alla stessa data del 22 ottobre, Filippo è menzionato come martire di Adrianopoli e non di Eraclea, insieme ad Erma e Severo: evidentemente è stata indicata la città ove avvenne il martirio e non quella dove tenne l'episcopato.
Alcuni martirologi occidentali lo ricordano al 22 aprile, confondendolo con l'apostolo omonimo. Alcuni studiosi ritengono che questo martire vada identificato col Filippo menzionato nel Calendario marmoreo di Napoli (19 aprile), ma la critica più recente lo esclude. È più probabile invece che l’omonimo di Nivedunum nella Mesia (oggi Issaktscha) festeggiato secondo il Martirologio Siriaco ed il Geronimiano il 4 giugno, sia il santo martire di Eraclea.
Il Martirologio Romano, sempre al 22 ottobre, elenca un altro Filippo, vescovo di Fermo nel Piceno. Sembrerebbe trattarsi di due distinte persone, ma studi recenti propendono per una identificazione. La tradizione fermana sostiene che Filippo, nativo del luogo, fu il secondo vescovo della città al tempo dell’imperatore Gallo (251-53) e subì il martirio sotto Valeriano (o Aureliano) fuori della città del luogo detto «dei Pini», ma questa tradizione non è confermata da alcuna antica fonte. Infatti nessun testo antico riguardante la Chiesa di Fermo fa menzione prima del 1580 ad un Filippo martire e vescovo della città e l’assoluta mancanza di fonti per più di un millennio consiglia di non accettare la tradizione fermana. Tuttavia il fatto di un culto ad un Filippo martire a Fermo suppone l'esistenza di reliquie che con ogni probabilità sono quelle del martire di Eraclea. Lo indicherebbe la data della celebrazione al 22 ottobre coincidente con quella del vescovo di Eraclea. Lo confermerebbe il fatto, suffragato da antiche testimonianze, che il culto del Santo orientale era diffuso nel Piceno.
Come poi il santo di Eraclea sia divenuto un santo fermano è facilmente spiegabile, giacché nel secolo XV-XVI molte altre Chiese italiane hanno trasformato in santo del luogo personaggi di altre regioni. Di questo se ne può avere una conferma dal calendario stesso della Chiesa di Fermo perché in un manoscritto del secolo XV si legge al 22 ottobre: «S. Philippi episcopi et martyris», ma poi in una glossa posteriore (facilmente visibile) è stato aggiunto «cuius corpus iacet in ecclesia cathedralis in confessione». Evidentemente prima della aggiunta Filippo era venerato, senza alcuna indicazione, nella Chiesa di Fermo.
(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Filippo ed Ermete, pregate per noi.
*San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) - Papa (22 Ottobre)
Wadowice, Cracovia, 18 maggio 1920 - Vaticano, 2 aprile 2005
(Papa dal 22/10/1978 al 02/04/2005 ).
Nato a Wadovice, in Polonia, è il primo Papa slavo e il primo Papa non italiano dai tempi di Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del pontificato ha ribadito di voler portare avanti l'eredità del Concilio Vaticano II.
Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un colpo di pistola dal turco Alì Agca.
Al centro del suo annuncio il Vangelo, senza sconti.
Molto importanti sono le sue encicliche, tra le quali sono da ricordare la "Redemptor hominis", la "Dives in misericordia", la "Laborem exercens", la "Veritatis splendor" e l'"Evangelium vitae".
Dialogo in terreligioso ed ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo ministero apostolico e pastorale.
Dai suoi numerosi viaggi nei cinque continenti emerge la sua passione per il Vangelo e per la libertà dei popoli.
Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti indimenticabili: dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme.
Così Karol Wojtyla traghetta l'umanità nel terzo millennio.
La sua beatificazione ha luogo a Roma il 1° maggio 2011. Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.
Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. A nove anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha.
Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino. Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce.
In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città.
Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici.
Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler.
Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia.
Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes.
Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato. Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di Pastore Universaledella Chiesa.
Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane.
I viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le Chiese - sono stati 104.
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.
A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).
Papa Giovanni Paolo II ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 Beati - e 51 Canonizzazioni, per un totale di 482 Santi.
Ha tenuto 9 concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali.
Ha presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005.
I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.
(Fonte: www.karol-wojtyla.org)
Giaculatoria - San Giovanni Paolo II, pregate per noi.
*San Leotaldo di Auch - Vescovo (22 Ottobre)
Martirologio Romano: A Auch in Aquitania, ora in Francia, San Leotaldo, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leotaldo di Auch, pregate per noi.
*Beata Lucia Bartolini Rucellai - Monaca (22 Ottobre)
Sec. XV
I Rucellai erano mercanti che avevano fatto fortuna soprattutto con la tintura delle stoffe. Conservarono gelosamente il segreto - scoperto casualmente, in circostanze quanto mai impensate, per non dire imbarazzanti - per ottenere quel bel colore violetto, detto appunto "oricello".
A Firenze, i Rucellai erano da generazioni una delle casate più illustri e munifiche della città. Si può dire che un intero quartiere cittadino, quello di Santa Maria Novella fosse sotto il patronato dei Rucellai, il cui stemma ricorreva su molti monumenti, simbolo di fierezza e sinonimo di opulenza. Era infatti formato da una vela, gonfia dal vento della propizia fortuna.
La Beata oggi festeggiata si chiamava, nel secolo, Cammilla, ed era nata nella nobile famiglia dei Bartolini. Adolescente, sposò Rodolfo Rucellai, e andò a vivere nello splendido palazzo albertino dei fortunati tintori.
Sui trent'anni, però, le parole del Savonarola la trassero dalle cure mondane, accendendo in lei i fuochi della più profonda e sofferta spiritualità.
Anche Rodolfo, il marito, fu scosso dalle profetiche orazioni del predicatore, e decise, un po' affrettatamente, di dividersi dalla moglie, che non aveva avuto figli, per vestire, a San Marco, l'abito domenicano.
Cammilla accettò la decisione del marito, pur non condividendone l'opportunità. Divenne terziaria di San Domenico. Dopo pochi mesi, Rodolfo Rucellai, più impulsivo, ma meno forte della moglie, si stancò dello stato religioso e volle tornare al mondo, tentando di convincere la moglie di fare altrettanto. Ma allora fu lei ad opporsi con inaspettata tenacia. La donna infatti, dopo un sofferto travaglio, aveva trovato nel nuovo stato una ricchezza spirituale al confronto della quale tutte le lusinghe del mondo apparivano labili.
Rodolfo mori poco dopo, e Cammilla, suora con il nome di Lucia, restò nel convento delle terziarie domenicane, facendosi promotrice di una nuova fondazione, intitolata a Santa Caterina da Siena.
Dopo la tragica fine del Savonarola, impiccato ed arso come eretico, sulla Piazza della Signoria, nel maggio del 1498, Lucia Bartolini Rucellai fu guida saggia e rigorosa del convento fiorentino di Santa Caterina, in qualità di priora, ottenendo per le sue terziarie, il permesso di emettere tre voti e più tardi quello di vestire l'abito delle suore del secondo Ordine.
Mortificata, penitente, severissima con se stessa, Lucia pregava con tanto fervore che, si diceva, il convento di Santa Caterina appariva coronato di fiamme, nel tempo in cui era in orazione. E appena morì, nel 1520, dopo una malattia serenamente accettata, la sua aureola di Beata venne a impreziosire la gloria della ricchissima famiglia dei Rucellai.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - Beata Lucia Bartolini Rucellai, pregate per noi.
*San Lupenzio - Abate (22 Ottobre)
Martirologio Romano: Nel territorio di Châlons in Neustria, sempre in Francia, san Lupenzio, abate della basilica di Saint-Privat-de-Javols, che, dopo avere ingiustamente patito molte vessazioni da parte di Innocenzo, conte della città, morì decapitato.
Quanto sappiamo di questo santo proviene da una notizia che San Gregorio di Tours gli ha dedicato nella sua Historia Francorum, VI, 37. Secondo questo racconto, Lupenzio era abate della basilica di Saint-Privat a Javols, nella Lozère.
Accusato da Innocenzo, conte di Javols, di aver mosso critiche alla regina Brunechilde, dovette presentarsi al cospetto di lei, che risiedeva in quel tempo a Metz. Potè quindi giustificare la sua condotta e venne liberato, ma, durante il viaggio di ritorno, fu raggiunto dal conte Innocenzo in una località detta Ponthion, presso Vitry-le-Francois (Marna) e, dopo diversi tormenti, fu decapitato. La testa ed il corpo, gettati separatamente nella Marna, sarebbero stati ritrovati, dopo qualche giorno, da alcuni pastori e inumati onorevolmente (584 ca.).
Sulla sua tomba accorsero i malati.
In una data rimasta sconosciuta, le reliquie del santo furono trasferite nella cattedrale di Soissons dove, nel 1667, vennero distrutte da un incendio.
Il suo culto è diffuso in tutta la Champagne, dove gli sono dedicate diciassette parrocchie, nonché nelle diocesi di Langres e di Verdun. Lupenzio è specialmente invocato per la protezione dei fanciulli. La sua festa è fissata al 22 ottobre.
(Autore: Philippe Rouillard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lupenzio, pregate per noi.
*San Mallone di Rouen - Vescovo (22 Ottobre)
† 22 ottobre III sec.
Martirologio Romano: A Rouen nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Mallone, vescovo, che si ritiene abbia annunciato in questa città la fede cristiana e costituito la sede episcopale.
Mallone (Mallono, Melanio, Mellone; lat. Mallonus, Mellonus; fr. Mellon), vescovo di Rouen dai cataloghi episcopali della città, datati del IX e del X secolo. Più tardi, tuttavia, verso la fine del secolo XI, venne sostituito in tali liste da San Nicasio, martire onorato presso St-Claire-sur-Epte, che non ha alcun diritto alla dignità di vescovo di Rouen. Orderico Vitale, nella sua Historia Ecclesiastica continua ad attribuire a Mallone il ruolo di iniziatore della città alla vita cristiana e lo pone nel 306, sotto l'imperatore Costantino e il papa Eusebio.
Nel XII secolo, peraltro, non si conosceva ancora nulla della sua vita e la sua festa non è segnalata nei Breviari locali; nel XIII essa vi trova posto, ma le lezioni dell’Ufficio sono riprese integralmente dal Comune dei pontefici confessori. Solamente alla fine del XIV secolo e agli inizi del XV, si trova, in un Lezionario di san Nicasio di Rouen, una Vita di Mallone, divisa in nove lezioni.
Negli Acta Sanctorum, il bollandista B. Bossue ha pubblicato un’altra biografia ritrovata tra i documenti dei Bollandisti anteriori.
Ma questa, non datata, non può essere di molto anteriore al testo del Lezionario. Che cosa apprendiamo di Mallone da questa fonte assai tardiva? Inizialmente disponiamo per fortuna di un punto di riferimento cronologico quasi sicuro.
Al concilio di Arles, nel 314, figura un Avitianus, vescovo di Rouen: questo personaggio è, secondo le liste episcopali, il successore di Mallone. Ciò concorda con le informazioni di Orderico Vitale prima citate. Non è da escludere però che quest’ultimo abbia fornito i suoi dati relativi a Mallone proprio tenendo conto di quelli relativi ad Avitianus.
La Vita Mellonis, comunque, pone Mallone molto tempo prima, informazione evidentemente erronea. Originario dell’isola di Britannia, egli sarebbe stato inviato a Roma al tempo dell’imperatore Valeriano (253-260) e là sarebbe stato convertito dal papa santo Stefano (254-257?) che lo avrebbe anche ordinato prete e che, per avvertimento celeste, l’avrebbe mandato ad evangelizzare Rouen. Durante il viaggio e nella nuova residenza Mallone avrebbe moltiplicato i miracoli.
Non ricorderemo che due di essi: Mallone risuscitò un giovane, caduto dal tetto dove si era arrampicato per ascoltare un sermone. In quel luogo il vescovo elevò, in seguito, una chiesa in onore della Trinità e della Vergine Maria. Questa terminologia, però, non può essere ammessa per il IV secolo: è rara prima dell’anno Mille e si diffonde soltanto nel secolo XI.
In un’altra occasione, Mallone distrusse l’idolo di Rolli, divinità dei Rotomagensi, che l’autore Visibilmente assimila a Venere. Il santo obbligò il demonio, che si nascondeva nella statua, a comparire sotto l’aspetto di una scimmia, a dare il suo nome (Saragone) e ad enumerare le sue opere («homicidia, furta, ebrietas, falsa testimonia et omnis immunditia»), dopo di che lo scacciò.
La biografia ci dà inoltre i particolari delle pratiche ascetiche del nostro santo: sono quelle care ai monaci celtici dell’alto Medioevo.
Egli compiva trecento genuflessioni di giorno e di notte, giaceva sulla nuda terra e, talvolta, dormiva seduto, portava una cintura di ferro sulla pelle e non si nutriva altro che di pane d’orzo, di legumi e di acqua.
Morì un 22 ottobre, data mantenuta tradizionalmente per la sua festa, iscritta anche nel Martirologio Romano col nome del santo nella forma Melanius.
Il culto di Mallone è molto antico, poiché le sue reliquie furono trasferite, alla fine del IX secolo, a Pontoise, che allora apparteneva alla diocesi di Rouen. Ivi fu costruita una chiesa in onore del santo, dapprima abbaziale, poi collegiata. Durante la Rivoluzione, questa chiesa fu distrutta con quanto rimaneva delle reliquie di Mallone.
(Autore: Henri Platelle - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mallone di Rouen, pregate per noi.
*San Marco di Gerusalemme - Vescovo (22 Ottobre)
sec. II
Martirologio Romano: Commemorazione di San Marco, vescovo di Gerusalemme, che primo tra i gentili ebbe la guida della Chiesa della Città Santa, che, disgregatasi per paura delle persecuzioni, egli ricominciò a radunare con la sua fede e la sua operosità.
Il poco che sappiamo di questo personaggio ci viene da una brevissima menzione di Eusebio di Cesarea. Dopo aver ricordato l'ultimo assedio di Gerusalemme sotto l'imperatore Adriano, l'espulsione degli ebrei dalla città e la loro sostituzione con una stirpe straniera, ed il cambiamento del nome di Gerusalemme in Elia (136), lo storico aggiunge: "Anche la Chiesa della città fu composta di Gentili ed il primo a dirigerla, dopo i vescovi della circoncisione, fu Marco".
Adone per primo, secondo la traduzione di Eusebio da parte di Rufino, introdusse la menzione di Marco nel suo Martirologio, ponendolo arbitrariamente al 22 ottobre, qualificandolo come molto illustre e molto dotto, e aggiungendo che aveva subito il martirio poco tempo dopo.
Da Adone la notizia passò, quasi identica, nel Martirologio di Usuardo da cui la trasse C. Baronio per introdurla nel Martirologio Romano precisando, senza alcuna prova in merito, che il martirio di Marco ebbe luogo durante il regno dell'imperatore Antonino Pio (138-161).
Il culto di Marco è sconosciuto in Oriente.
Né il Calendario palestinese, quale ci è fornito ad esempio, dal calendario Palestino-georgiano del Sinaiticus 34, né i sinassari bizantini ne fanno menzione.
(Autore: Joseph-Marie Sauget - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Marco di Gerusalemme, pregate per noi.
*San Moderano di Berceto (Moderanno di Rennes) - Vescovo (22 Ottobre)
Sec. VIII
Fu un curioso evento a legare Moderano (o Moderanno) – vescovo di Rennes nell’VIII secolo – a Berceto, località dell’Appennino parmense di cui è patrono. Pellegrino verso Roma, si fermò a Reims ed ebbe delle reliquie di san Remigio da portare nell’Urbe.
In sosta al Passo della Cisa, lungo la via Francigena (esiste ancora una Fonte di San Moderanno), le appese a un ramo e se le dimenticò. Tornò, ma l’albero era inspiegabilmente cresciuto e il prezioso bagaglio finito troppo in alto.
La pianta si abbassò alla promessa di donare le reliquie alla vicina abbazia di Berceto. Moderano ne divenne priore e vi morì. I suoi resti furono poi portati in Francia. Senza intoppi.
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nel monastero di Berceto in Lombardia, san Moderano, abate e un tempo vescovo di Rennes in Francia, insigne per amore di solitudine e pietà verso i luoghi dei Santi.
Nei pressi del Passo della Cisa, c'è una località nota agli appassionati delle escursioni in montagna e chiamata Fonte di San Moderanno. Ricorda un pittoresco episodio avvenuto ben mille e duecento anni fa e che ebbe per protagonista San Moderano, o Moderanno, vissuto nell'VIII secolo. t sorprendente come il ricordo di questo lontanissimo personaggio sia ancora vivo, legato durevolmente al nome di una località, o, come si dice, a un toponimo.
Benché ricordato sull'Appennino tosco-emiliano, Moderano non fu un Santo di origine locale. Veniva da lontano, dalla Francia, ed era Vescovo di Rennes, l'antica capitale del Ducato di Bretagna.
Per compiere il pellegrinaggio a Roma. per onorare la sepoltura dell'Apostolo Pietro, il Vescovo Moderano lasciò la sua città e si spinse verso il Mezzogiorno. Lungo la sua strada c'era Reims, la città dov'era sepolto San Remigio, il convertitore dei Franchi: Moderano ottenne qualche reliquia, da portare con sé verso Roma.
Giunto al Passo della Cisa, si fermò per riposarsi, e attaccò ai rami di un albero le reliquie di San Remigio. Ripartendo, si dimenticò di quel prezioso bagaglio e quando, accortosene, tornò indietro per riprenderle trovò che non poteva più raggiungere il ramo, inspiegabilmente sollevatosi.
Visto inutile ogni sforzo, il pellegrino promise di donare le reliquie, se avesse potuto riottenerle, al monastero della vicina Berceto, e soltanto allora il ramo si abbassò, permettendo a Moderano di raccogliere le reliquie, come un prodigioso frutto di santità.
Fu così che Berceto, nota località montana sull'Appennino parmense, venne ad avere, nel suo monastero benedettino, alcuni resti di San Remigio, mentre il Vescovo di Rennes, Moderano, venne nominato da Liutprando, Re dei Longobardi, Priore di quello stesso monastero.
Moderano tornò in Francia, ma non per rimanervi. A Reims fece simbolico dono del monastero di Berceto all'abbazia di San Remigio; a Rennes, dette le dimissioni da Vescovo, e fece eleggere un successore.
Poi tornò a Berceto, e vi restò fino alla morte, sopraggiunta pochi anni dopo. Soltanto nel secolo scorso le sue reliquie vennero trasferite a Rennes, accolte con molto onore dalla città che, tutto sommato, avrebbe potuto considerare a buon diritto San Moderano come un Vescovo rinunziatario e fuggitivo.
Ma il culto dei Santi non è vendicativo né astioso. La coltre del tempo attutisce le possibili asperità della storia, e ancor più quelle della leggenda: e la vicenda di San Moderano, e delle sue reliquie che vanno e vengono dall'Italia alla Francia, da Reims a Berceto, è tutta sfumata nella leggenda, anche se ricca di suggestione e di significato.
(Fonte: Archivio Parrocchia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Moderano di Berceto, pregate per noi.
*San Nancto (Nuncto) - Abate e Martire (22 Ottobre)
Ci è noto esclusivamente dalla relazione fatta dall'anonimo autore delle Vitas SS. Pairum emeretensium (III) scritte verso il 640.
Secondo costui, molti anni prima, ai tempi di re Leovigildo (568-586) era arrivato in Lusitania, proveniente dall'Africa, l'abate Nancto, il quale, dopo qualche tempo, attratto dalla devozione a Sant'Eulalia, venne ad abitare nella casa-monastero presso la basilica della santa, sotto il governo del diacono Redento. A questo punto l'agiografo descrive una singolare caratteristica della spiritualità di Nancto: evitava, come avrebbe evitato il morso di una vipera, di guardare le donne e d'essere guardato da loro e a questo scopo si faceva precedere e seguire ovunque da due monaci; per questa ragione supplicò accoratamente il diacono Redento di prendere ogni misura necessaria ad impedire che quando egli fosse andato di notte a pregare Sant'Eulalia potesse essere visto da qualche donna. C'era però una «nobilissima e santissima vedova» chiamata Eusebia, che aveva chiesto tante volte di poterlo vedere senza giungere ad averne il consenso; riuscì invece a guadagnarsi la complicità di Redento riuscendo a vedere il santo abate di nascosto.
Ma non appena lo sguardo della donna si posò su di lui, Nancto diede un grido e cadde prostrato come se fosse stato colpito da una grossa pietra; più tardi disse a Redento: «Iddio ti perdoni, fratello; che cosa hai fatto?».
Nancto si ritirò, quindi, con alcuni monaci in un luogo deserto, dove si costruì una poverissima dimora, ma la fama delle sue virtù si diffuse rapidamente e venne perfino a conoscenza del re Leovigildo, il quale, benché ariano, si raccomandò alle sue preghiere e gli fece dono di un certo terreno perché da esso potesse ricavare quanto bastava per il vitto e il vestiario necessari a lui e ai suoi fratelli.
Poco tempo dopo, però, gli abitanti di quel luogo, non volendo sottostare al dominio di un signore che giudicavano rozzo e indegno, lo uccisero mentre si trovava solo a pascolare alcune pecore. Gli assassini furono subito presi e condotti davanti al re, ma questi non volle condannarli perché, disse, «se veramente hanno ucciso il servo di Dìo, sarà Dio stesso a punirli». L'agiografo ne loda la sentenza e finisce il racconto dicendo che gli assassini furono presi dai demoni e, dopo molte sofferenze spirituali e corporali, ebbero una morte crudele.
La narrazione è indubbiamente degna di fede, anche se alcune affermazioni sono caratteristicamente agiografiche. Tenendo conto dell'intervento del re Leovigildo, inspiegabile nel periodo in cui divenne persecutore dei cattolici, la vita di Nancto in Spagna dovette chiudersi prima dell'anno 580.
Il biografo non dice nulla che possa essere interpretato come indizio di culto, né in documenti posteriori appare traccia di esso, come di solito è avvenuto per i vescovi di Mérida, di cui si narrarono poi le Vitae; il primo ad annoverare Nancto tra i santi martiri, fu Tamayo de Salazar, assegnandogli la data del 22 ottobre, e, dopo di lui, è da tutti, anche dal Flórez, accettato come tale. Per quanto riguarda il titolo di martire bisogna tener presente, come nota il bollandista B. Bossue, che anticamente erano pure venerati come martiri coloro che «piamente avevano ricevuto una immeritata morte violenta».
(Autore: Justo Fernandez Alonso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Nancto, pregate per noi.
*Sante Nunilone e Alodia - Martiri (22 Ottobre)
† 846
Sorelle di padre musulmano, educate dalla madre nella dottrina cristiana. Si rifiutarono di abbandonare la Fede in Cristo e per questo furono decapitate a Huesca in Spagna.
Martirologio Romano: A Huesca nell’Aragona in Spagna, sante Nunilone e Alódia, vergini e martiri, che, nate da padre musulmano, ma istruite dalla madre nella dottrina cristiana, si rifiutarono di abbandonare la fede in Cristo e per questo, dopo lunga carcerazione, morirono trafitte con la spada per ordine del re di Córdova ‘Abd ar-Rahman II.
Il martirio di queste due giovani sorelle ci è pervenuto grazie al racconto di Sant’Eulogio di Cordoba che nel suo “Memoriale Sanctorum” riferisce quanto egli stesso apprese dal vescovo Venerio di Complutum (Alcalà de Henares).
Nunilone e Alodia vissero nel nord della Spagna all’inizio del secolo IX, appartenevano ad una ricca famiglia della cittù di Huesca, nate dall’unione di un mussulmano e una cristiana.
La donna le educò infondendo nel loro cuore principi di fervida pietà cristiana ma, alla morte del padre, passò a seconde nozze con un altro mussulmano che non si mostrò altrettanto tollerante. Le due ragazze furono mandate a vivere da una zia che condivideva la loro fede. Nel 851 l’emiro di Cordoba, Abd-er-Rahman, stabilì con decreto che i figli cristiani di padre mussulmano dovevano convertirsi alla religione paterna, pena la condanna a morte.
Le due sorelle furono convocate dal prefetto di Huesca che invano tentò di ottenerne l’abiura. Furono arrestate e condotte in celle di isolamento. Furono poi consegnate a donne di dubbia moralità per far loro cambiare stile di vita, ma tutto fu inutile.
Vennero decapitate il 21 ottobre. Solo nell’880 i cristiani riuscirono a recuperare i loro corpi e le trasportarli nel monasrtero di San Salvatore di Leyre. Nel 1836, soppresso il monastero, le reliquie furono portate a Sangiiesa. Il loro nomi furono scritti nel martirologio e nei calendari di rito mozarabico.
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Nunilone e Alodia, pregate per noi.
*San Simmaco di Capua - Vescovo (22 Ottobre)
Capua (Santa Maria Capua Vetere), † 449 ca.
Nel 430 Simmaco fu vescovo di Capua, l'antica città fondata nel VI secolo a.C. dagli etruschi, poi dominata dai sanniti, che assimilò la cultura etrusca, greca ed ellenistica. Simmaco fu il fondatore della basilica di Santa Maria Maggiore, sopravvissuta alla distruzione dei saraceni e diventata il nucleo iniziale della nuova città, la futura Santa Maria Capua Vetere, divenendone la Cattedrale. Simmaco sarebbe morto nel 449, dopo 19 anni di episcopato a Capua e il suo culto si mantenne sempre vivo. Dal 1313 comparvero i primi calendari che portano inserito il suo nome, ed erano inoltre presenti nel territorio capuano, varie chiese a lui intitolate, anche nelle forme popolari, Simo, Simmio, Simbrico.
È patrono di Santa Maria Capua Vetere. (Avvenire)
Approfonditi studi storici e cronologici, hanno accertato, tramite i vari studiosi della storia capuana, che san Simmaco fu vescovo dell’antica città di Capua nel 430 e morto nel 449 ca.
Va fatta una premessa storica, quando si parla dell’antica città di Capua, ci si riferisce alla grande e famosa città fondata nel VI secolo a.C. dagli Etruschi, poi dominata dai Sanniti e che assimilò la cultura etrusca, greca ed ellenistica.
Nel 343 a.C. era considerata, secondo Livio, la più grande e ricca città d’Italia; nel 338 entrò nell’orbita politica di Roma, con un’alternanza di alleanze, distacchi, scontri, concordati, distruzione, riedificazione e colonizzazione, fino al 456 d.C., quando fu devastata da Genserico re dei Vandali, risorta floridamente nell’VIII secolo, fu di nuovo distrutta dai Saraceni nell’840.
Pertanto i profughi superstiti, nell’856 fondarono la nuova Capua in un luogo più sicuro, in un’ansa del fiume Volturno, e fu l’origine dell’attuale città di Capua.
Sul posto dell’antica città, rimase solo la chiesa di S. Maria Maggiore, il Duomo attuale, attorno alla quale man mano si formò un modesto abitato, che dopo il 1315 prese il nome di Villa Sanctae Mariae Maioris, che divenne frazione di Capua fino al 1806 e divendando poi Comune autonomo col nome di Santa Maria Capua Vetere, i cui abitanti oggi sono il doppio di quelli della Capua attuale.
Quindi s. Simmaco fu vescovo dell’antica Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere e non dell’attuale Capua distante 35 km, ambedue oggi in provincia di Caserta.
Il vescovo san Simmaco, fu il fondatore della Basilica di S. Maria Maggiore o S, Maria Suricorum, sopravvissuta poi alla distruzione dei Saraceni e diventata il nucleo iniziale della nuova città, la futura Santa Maria Capua Vetere, divenendone la Cattedrale.
La basilica va messa in rapporto con quella eretta a Roma da Papa Sisto III e con il Concilio di Efeso del 431, che proclamò la divina maternità di Maria. L’abside era adorna di un mosaico, andato completamente distrutto nel 1754, che rappresentava la Vergine col Bambino e nella sottostante fascia decorativa, recava l’iscrizione: “Sanctae Mariae Symmachus Episcopus”.
L’esistenza del vescovo Simmaco, è attestata nella lettera “De obitu Paulini” del prete Uranio, che narra la visita dei vescovi Simmaco e Acindino, accorsi nel giugno 431 a far visita al morente vescovo della vicina Nola, san Paolino, morto poi tre giorni dopo.
Simmaco sarebbe morto nel 449, dopo 19 anni di episcopato a Capua e il suo culto si mantenne vivo fino al XIV secolo, quando ebbe un forte incremento.
Dal 1313 comparvero i primi calendari che portano inserito il suo nome, ed erano inoltre presenti nel territorio capuano, varie chiese a lui intitolate, anche nelle forme popolari, Simo, Simmio, Simbrico.
Patrono di Santa Maria Capua Vetere, San Simmaco vescovo è festeggiato il 22 ottobre.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Simmaco di Capua, pregate per noi.
*San Valerio di Langres - Diacono e Martire (22 Ottobre)
Martirologio Romano: Nel territorio di Besançon, ora in Francia, San Valerio, diacono della Chiesa di Langres, ucciso dai pagani.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Valerio di Langres, pregate per noi.